1. Il punto di partenza per una riflessione sul tema è costituito dall’innegabile crisi che coinvolgono, sia pure in misura differente, la gran parte delle democrazie rappresentative, tradizionalmente intese. I partiti politici non appaiono più in grado di svolgere efficacemente e stabilmente il compito di intermediari tra la società e lo Stato, di assicurare una efficace partecipazione dei cittadini ai processi deliberativi istituzionali.
Inoltre, il diaframma che separa le istituzioni rappresentative dalla società è acuito sia da fenomeni di corruzione, sia da una “ professionalizzazione” del ceto politico, che non consente un’effettiva rappresentatività delle diverse componenti della società e un fisiologico ricambio della c.d. “classe politica”.
Questi fenomeni – con riferimento all’Italia – mettono in crisi il circuito della democrazia rappresentativa individuato dai nostri Costituenti, il quale faceva perno sul binomio suffragio universale (art.48 Cost.)/ centralità dei partiti politici come strumento per assicurare la partecipazione dei cittadini alla determinazione della politica nazionale (art.49 Cost.).
Un modello rappresentativo in cui i cittadini si limitino ad eleggere periodicamente i propri rappresentanti, i quali, a loro volta, esercitano in completa e totale autonomia il proprio mandato senza rispondere del loro operato e senza alcuna forma di controllo effettivo da parte degli elettori, non può più ritenersi soddisfacente.
2. Da ciò l’esigenza di individuare rimedi idonei a dare nuovo vigore alla democrazia rappresentativa, di introdurre nell’assetto istituzionale dello Stato istituti che consentano di rendere trasparenti le procedure attraverso cui gli organi rappresentativi esprimono la volontà dello Stato e attivare canali efficaci di partecipazione democratica. Pur nella diversità delle soluzioni, l’obiettivo comune può essere individuato in una tensione verso una sovranità popolare sostanziale (non limitata al solo momento – pur importantissimo – del voto). La «scommessa» sottesa alle diverse forme di intervento popolare deve essere quella di una partecipazione che, pur senza disconoscere il potere delle Assemblee rappresentative (Parlamento, Consigli regionali e comunali), eserciti un’effettiva influenza sulle decisioni finali .
A tal fine si sono affermate nell’esperienza costituzionale contemporanea alcune linee di tendenza finalizzate, di volta in volta, a completare attraverso strumenti di democrazia diretta l’azione delle istituzioni rappresentative; a utilizzare le nuove tecnologie per incrementare le forme di partecipazione politica; a dar vita a forme di partecipazione collettiva alle decisioni pubbliche.
Tra gli strumenti di valorizzazione della partecipazione popolare possono essere annoverati anche i vari tipi di referendum propositivi presenti in diversi ordinamenti. Rientra in questa tendenza, il recente disegno di legge costituzionale di riforma dell’art. 71 della Costituzione, il n. 1089, approvato il 21 febbraio 2019 dalla Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati e attualmente all’esame in Senato.
3. Per evitare fraintendimenti è necessario non confondere due esperienze assai differenti: da un lato le c.d. initiatives, riconducibili ai variegati modelli svizzeri (federale e cantonali) o alle esperienze statunitensi che costituiscono delle vere e proprie forme di democrazia diretta; dall’altro lato, i referendum propositivi che rappresentano in estrema sintesi una sorta di iniziativa legislativa popolare rafforzata. Si può affermare che i referendum propositivi, al verificarsi di determinate condizioni, obbligano il legislatore a compiere una determinata scelta ovvero — in caso contrario — a demandare la decisione finale al corpo elettorale.
Il prototipo delle initiatives si è formato negli Stati Uniti d’America. Inizialmente i “padri fondatori”, non furono favorevoli allo sviluppo di forme di democrazia diretta e preferirono individuare un contrappeso alla democrazia rappresentativa nei giudici piuttosto che negli istituti di partecipazione popolare. Tuttavia, si ebbe un cambio di atteggiamento in seguito a una decisione del 1912 della Corte suprema che ritenne compatibile con la Costituzione una legge dello Stato dell’Oregon in tema di iniziativa popolare. Da allora si sono svolti molti referendum (iniziative) popolari in quasi tutti gli Stati della Federazione e sui temi più disparati (riduzione pressione fiscale, legalizzazione droghe leggere, disciplina elezioni primarie, legalizzazione suicidio assistito, pena di morte…).
In Svizzera, invece, la Costituzione del 1874 ha introdotto il referendum legislativo facoltativo, riconoscendo a 50.000 elettori la capacità di sottoporre al voto popolare le leggi e gli atti con forza di legge; mentre nel 1891 fu introdotta l’iniziativa costituzionale, con la quale un certo numero di elettori può proporre una revisione parziale della Costituzione. Inoltre, le Costituzioni di alcuni Cantoni hanno codificato l’istituto del veto legislativo, con il quale un certo numero di cittadini può chiedere che una legge (approvata dal Parlamento) sia sottoposta alla verifica del voto popolare.
Ben diversa è la disciplina normativa in Italia, dove il referendum propositivo, previsto al momento in ambito regionale, non presenta i carattere della democrazia diretta, ma della partecipazione popolare al procedimento legislativo. Sinora le esperienze concrete sono state assai limitate e non possono costituire un precedente significativo.
I due casi più importanti disciplinano il referendum propositivo in modo diverso. Nella Provincia di Bolzano la richiesta di referendum è accompagnata da un progetto di legge su cui si richiede il voto dei cittadini. Qualora il risultato del referendum sia favorevole all’emanazione della legge, il Presidente della Provincia la promulga.
Nel caso, invece, della Regione Valle d’Aosta, può essere richiesto dagli elettori il referendum propositivo se il Consiglio regionale approva una proposta di legge di iniziativa popolare modificandola nei suoi elementi fondamentali.
Similmente nella Regione Sardegna un certo numero di elettori può presentare al Consiglio regionale una proposta di legge regionale, che è sottoposta a referendum popolare qualora il Consiglio non abbia deliberato definitivamente sulla proposta entro sei mesi.
Come si può vedere, l’istituto del referendum propositivo, pur ispirandosi a una idea comune (affidare la decisione finale circa una legge direttamente agli elettori) è stato oggetto di regolamentazioni assai diverse.
4. La disciplina del referendum propositivo approvata in prima deliberazione dalla Camera dei deputati si ispira all’esperienza regionale, ma con alcuni significativi correttivi tenta di inserire tale istituto nell’alveo della disciplina vigente per i referendum abrogativi.
In sostanza, rafforza l’attuale disciplina dell’iniziativa legislativa popolare, prevedendo che il procedimento legislativo debba concludersi con lo svolgimento di una consultazione referendaria qualora l’iniziativa legislativa popolare sia sorretta da un numero di sottoscrizioni di almeno 500.000 elettori e le Camere non la approvino entro 18 mesi dalla sua presentazione.
Se il Parlamento approva il progetto di legge popolare nel medesimo testo o con modifiche solo formali, entro diciotto mesi dalla sua presentazione non ha luogo la consultazione referendaria. Se, invece, il Parlamento modifica sostanzialmente quel progetto di legge, i “promotori” dell’iniziativa legislativa popolare hanno un’alternativa: possono accettare la decisione parlamentaremodificativa o chiedere l’attivazione del referendum.
In questo secondo caso, il referendum ha ad oggetto esclusivamente l’approvazione di quel progetto d’iniziativa popolare e il testo viene promulgato dal Presidente della Repubblica se ottiene il voto favorevole di almeno un quarto degli aventi diritto al voto.
Come nel caso dei referendum abrogativi, anche la richiesta di referendum è sottoposta a un esame preventivo di ammissibilità da parte della Corte costituzionale.
Maggio, 2019