L’opportunità di ripensare l’attuazione dell’art.116, 3 comma, Cost.: alcune considerazioni preliminari.
L’unica disposizione costituzionale in grado di inserire le Regioni italiane all’interno del dinamismo che sembra contraddistinguere alcuni sistemi regionali europei è rinvenibile nell’art.116,3 c. Cost., il quale potrebbe aprire il nostro sistema a una visione “nuova” del regionalismo: basata su relazioni istituzionali di tipo pattizio e di natura settoriale – contrapposte a quelle attualmente vigenti, di natura multilaterale e paritaria –. In altri termini l’attuazione della “clausola di asimmetria” potrebbe favorire una più compiuta realizzazione dell’autonomia ordinaria, che faccia perno sulle specificità delle identità territoriali.
Per queste ragioni il dibattito su di una possibile applicazione dell’art.116,3 c. Cost., ravvivato dopo l’esito negativo del referendum costituzionale del 2016 dall’iniziativa di tre regioni (Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna),merita da parte della dottrina una riflessione approfondita, organica e scientificamente corretta (cioè non condizionata da pregiudizi extra-giuridici). La natura e i limiti del presente lavoro sconsigliano un approfondimento dei molteplici profili coinvolti, il ché – tuttavia – non ci esime dal compiere alcune notazioni finali relative sia alla motivazione istituzionale che può giustificare uno statusdi regionalismo asimmetrico, sia ad alcuni aspetti problematici del procedimento individuato dalla disposizione costituzionale.
Innanzitutto, sarebbe opportuno considerare quale/i tra le diverse motivazioni che sono alla base del principio di autonomia contraddistinguono la richiesta di autonomia differenziata ai sensi dell’art.116,3 comma, Cost.
L’esperienza comparata ha evidenziato sinora tre diversi modi di intendere il principio di autonomia. Innanzitutto, l’autonomia come riconoscimento delle differenze storiche, culturali, identitarie dei territori: in questo caso, come efficacemente affermato da un’autorevole dottrina le autonomie speciali si basano su «elementi pregiuridici », su «radici antropologico-culturali degli enti ad autonomia speciale, i quali si fondano su solide identità collettive, di cui costituiscono la proiezione istituzionale. Quindi, l’autonomia come riconoscimento del principio dispositivo, il quale presuppone margini di discrezionalità sia nell’individuare la comunità di riferimento, sia nel determinare i principi di organizzazione e le competenze esercitabili: ovviamente, la dimensione quantitativa e qualitativa dell’asimmetria deve trovare una giustificazione in concreti “fatti differenziali” (sociali, culturali, economici) riconosciuti dall’ordinamento generale.
Infine, il principio di autonomia può essere coniugato nella sua dimensione funzionale quale criterio organizzativo finalizzato a valorizzare l’efficienza e l’effettività dell’azione dei pubblici poteri. In questo contesto la distribuzione delle competenze tra i livelli istituzionali si ispira a principi di natura organizzativa come i criteri di adeguatezza e di sussidiarietà che il Titolo V della Costituzione ha codificato in ambito amministrativo, ma che possono estendersi – a nostro avviso- anche alla funzione legislativa.
Nella fase di avvio del procedimento di cui all’art.116,3 comma Cost. la Regione interessata deve preliminarmente qualificare la propria richiesta di differenziazione alla luce delle variabili sopra richiamate: tale decisione istituzionale costituisce il parametro per valutare, in sede di intesa e di approvazione da parte del Parlamento, la congruità delle ulteriori attribuzioni rivendicate.
Con riferimento specifico all’iter attivato dalle Regioni Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna mi pare che lo statusdi asimmetria non possa sicuramente essere ricondotto a una motivazione identitaria, assimilabile a quella del regionalismo speciale; le rivendicazioni avanzate dalle tre regioni del Nord non hanno una base culturale e storica, ma si collegano a motivazioni economiche o ad obiettivi di maggior efficienza nell’esercizio di determinate funzioni. Si può ritenere, quindi, che nella fattispecie la procedura di cui al terzo comma dell’art.116 Cost. sia riconducibile a una prospettiva funzionale. Tuttavia, essa si propone anche di valorizzare la volontà dispositiva dei territori interessati (riecheggiando alcuni aspetti dispositivi dell’ Estado autónomico spagnolo): il procedimento costituzionale deve pertanto coniugare, in un contesto di regionalismonon uniforme,aspetti del principio dispositivo con profili propri del criterio di sussidiarietà.
L’avvio del procedimento (“ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia possono essere attribuite ad altre Regioni…su iniziativa della Regione interessata) sembra far riferimento al principio dispositivo: infatti, come nell’ordinamento spagnolo è affidata alle Comunità autonome l’individuazione delle competenze da inserire negli Statuti, così in Italia compete agli organi della Regione puntualizzare le “ulteriori forme e condizioni di autonomia”.
Si tratta di una innovazione da non sottovalutare dal momento che sinora il regista “assoluto” del processo di decentramento è stato individuato nello Stato (e nelle forze politiche nazionali). Già la scelta costituente ritenne che l’autonomia non scaturisse dal principio dispositivo, bensì si sviluppasse su impulso della legge, cui competeva determinare i principi fondamentali delle materie regionali, stabilire con apposite norme quando e come trasferire alle Regioni le funzioni amministrative, limitare la legislazione concorrente e quella residuale delle Regioni, coordinare la finanza pubblica e il sistema tributario. D’altra parte, la formulazione dell’art.5 Cost. utilizza l’espressione “promuove” per evidenziare che il processo di decentramento deriva dall’azione unilaterale del soggetto titolare della sovranità, cioè dallo Stato.
Per quanto concerne l’obbligo di “sentire” gli enti locali, il testo costituzionale affida alla discrezionalità delle Regioni la disciplina delle modalità di consultazione; in proposito la gamma delle opzioni è assai ampia, potendo spaziare dalla consultazione dei singoli enti (tramite deliberazioni dei rispettivi Consigli) alla consultazione delle aree territoriali (per esempio, coinvolgendo le Province) o alla consultazione degli organi rappresentativi il sistema regionale delle autonomie locali (attraverso il Consiglio delle autonomie locali o le associazioni dei Comuni e delle Province).
A sua volta, la fase dell’intesa tra lo Stato e la Regione presenta alcuni profili sicuramente innovativi rispetto alla tradizione del trasferimento delle funzioni dallo Stato alle Regioni ed ai Comuni.
Innanzitutto il procedimento assume una struttura multilaterale la quale coinvolge non solo la Regione interessata e il Governo (con particolare rilevanza per i Ministeri interessati al processo devolutivo e il Ministero dell’economia per quanto concerne i profili finanziari), ma anche le forze politiche nazionali (la cui valutazione dei contenuti dell’intesa è decisiva per il buon esito del voto finale sulla legge) e le altre Regioni (indirettamente coinvolte in sede di eventuale discussione in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome). Esso ricorda, fatte le debite differenze, l’esperienza dei Pactos autonómicos, che in Spagna ha caratterizzato l’evoluzione del regionalismo in un contesto di autonomia differenziata, retta dal principio dispositivo.
In secondo luogo, il procedimento si ispira a un sistema di relazioni di natura bilaterale che, per un verso, si affianca (pur non coincidendo) a quello che regola i rapporti tra lo Stato e le cinque Regioni ad autonomia speciale e, per un altro verso, si differenzia dal “modello” generale che, in tema di leale collaborazione tra i livelli istituzionali, si impernia sulla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome. In tal modo viene incrinato il tradizionale sistema multilaterale e paritario, che ha assunto un ruolo importante nel rafforzare l’idea di un regionalismo omogeneo ed uniforme.
Se tale tendenza non si limitasse soltanto alle tre Regioni ordinarie che hanno avviato l’iterattuativo l’art.116,3 comma Cost. e si verificasse un incremento del regionalismo asimmetrico, sarebbe possibile individuare un ulteriore avvicinamento del regionalismo italiano all’ esperienza spagnola: sintetizzabile, per quanto concerne la distribuzione delle competenze tra lo Stato e le autonomie regionali, in una trasformazione della forma regionale assimilabile alla nota teoria spagnola della tabla de quesos,con effetti che potrebbero produrre anche in Italia quanto affermato da P. Cruz Villalón a proposito delle Comunità autonome: “se pondría en marcha un proceso de transformación del Estado que se sabe perfectamente donde comienza pero que el nuestro hombre no sabría decir donde termina”.
In questa fase del procedimento (“La legge è approvata ……..sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”) assume un rilievo preminente il criterio funzionale : di conseguenza, il Governo – in sede di approvazione dell’intesa- e il Parlamento – approvando la legge che conclude il procedimento previsto dall’art.116,3 c. Cost. – dovrebbero valutare se le scelte dispositive della Regione siano funzionalmente congrue rispetto al principio di sussidiarietà, prestando una particolare attenzione per l’efficacia del sistema e la salvaguardia della natura unitaria dell’ordinamento complessivo.
In altri termini, in questa fase diviene centrale valutare se vi siano le condizioni affinché la regionalizzazione di determinate attribuzioni generi nei territori interessati dall’intesa migliori standardqualitativi nell’erogazione di determinati servizi, assicuri una maggior efficienza nella regolazione delle funzioni, apporti un effettivo beneficio alle realtà decentrate senza compromettere l’unitarietà del sistema amministrativo. In sintesi, la fase “statale” del procedimento dovrebbe mettere a confronto la volontà dispositiva della Regione con la valutazione dei “benefici” che tali richieste apportano all’ordinamento generale.
Inoltre, l’intesa dovrebbe prevedere una o più fasi di verifica, in modo da monitorare nel tempo sia l’efficienza e l’efficacia con cui la Regioni ha esercitato le nuove competenze, sia gli effetti che tali trasferimenti hanno riverberato sulla funzionalità complessiva del sistema: con la possibilità di rivedere, alla luce di siffatte verifiche, il contenuto dell’intesa.
Infine, l’approvazione della legge da parte del Parlamento sembra possedere una triplice caratteristica: è rinforzata sia sotto il profilo della competenza (solo tale fonte può dare attuazione all’art.116,3 c. Cost.), che del procedimento (non rientra nei casi di iniziativa legislativa di cui all’art.71 Costituzione); inoltre, il potere deliberativo dell’assemblea appare circoscritto, in quanto non sembra prevedere la possibilità di emendare il testo presentato dal Governo sulla base dell’intesa con la Regione interessata.
L’espressione utilizzata dal legislatore costituzionale (la legge è approvata) trova due precedenti nella normativa approvata dall’ Assemblea costituente: sotto il profilo linguisticoriprende sia la disposizione dell’art.8 Cost. in materia di rapporti con le confessioni religiose acattoliche (I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze), sia la disposizione originaria dell’art.128 Cost. in tema di autonomia statutaria delle Regioni ordinarie (Lo statuto è deliberato dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta dei suoi componenti, ed è approvato con legge della Repubblica). In entrambe le fattispecie la discrezionalità del Parlamento è risultata nella prassi limitata all’alternativa tra approvare o non approvare i contenuti dell’atto su cui è chiamato a deliberare: in ogni caso il Parlamento non potrebbe autonomamente modificare in sede legislativa il contenuto (dell’intesa tra le confessioni religiose o dello Statuto della Regione ordinaria) senza il consenso dei soggetti che l’hanno adottato.
Tuttavia, nel caso di specie, sarebbe opportuno far riferimentoall’originaria formulazione dell’art.123 Cost., non solo ratione materiae,ma anche perché la prassi che ha preceduto l’approvazione dei primi Statuti regionali fornisce utili orientamenti circa il possibile iter attuativo dell’art.116,3 comma, Cost. In quella occasione, infatti, il Parlamento ha “tacitamente” affidato a una Camera il compito non solo di iniziare l’esame del testo, ma anche di avviare un’interlocuzione con le Regioni interessate, qualora la formulazione dello Statuto deliberato dal Consiglio regionale presentasse norme lesive dell’art.123 Cost.
Alla luce di tale procedura, frutto di una convenzione costituzionale, il Parlamento ha potuto evitare di non approvare il testo dello Statuto, demandando a una nuova interlocuzione tra il Governo e il Consiglio regionale la predisposizione di un testo riformulato alle luce delle osservazioni dell’aula parlamentare. Si tratta di un precedente che, a nostro avviso, potrebbe essere utilmente utilizzato anche in sede di attuazione dell’art.116,3 comma, Cost.
A conclusione di questo contributo vorrei esprimere un rilievo critico e un auspicio.
Il primo fa riferimento alla circostanza che l’iter attuativo l’art.116,3 comma Cost., avviato da pochi mesi, sta generando dubbi interpretativi riconducibili essenzialmente al fatto che, una volta entrata in vigore la revisione costituzionale del 2001, il legislatore ha evitato di tradurre gli essenziali enunciati normativi del dettato costituzionale in un procedimento dettagliato e compiuto nei suoi passaggi più significativi. Forse per disinteresse, forse per disattenzione, forse per l’implicita convinzione che la disposizione dell’art.116 Cost. potesse rimanere inattuata a tempo indeterminato, la materia non è stata oggetto di alcuna disciplina attuativa. Così come va criticamente evidenziato che tuttora i regolamenti parlamentari non hanno affrontato le questioni connesse alla traduzione in legge dell’intesa tra il Governo e la Regione interessata. Si tratta di un’omissione grave, in quanto l’iter legis in questione possiede una valenza di natura costituzionale.
Pertanto, le fasi “governativa” e “parlamentare” del procedimento si stanno avviando lungo un percorso incerto non solo nel quando, ma anche con riferimento al quomodo, dal momento che non può far affidamento su parametri di riferimento giuridicamente certi.
L’auspicio consiste, infine, nella circostanza che la dottrina costituzionalistica possa contribuire, in questa come nelle precedenti fasi del regionalismo italiano, a fornire il contesto teorico e alcune soluzioni operative affinché lo Stato regionale italiano possa uscire dallo stallo che sta vivendo, dal “cono d’ombra” dietro cui rischia di eclissarsi, allineandosi alle più dinamiche tendenze che, nel contesto dell’Unione europea, qualificano il dibattito in altri paesi.