Il rapporto tra la Costituzione e il fascismo
Vi sono diverse tecniche che i giudici e gli operatori giuridici utilizzano per dare un significato alle disposizioni costituzionali: si parla, ad esempio, di interpretazione evolutiva (quando si introduce un’interpretazione in grado di rendere il significato della Costituzione allineato con le trasformazioni sociali e culturali), di interpretazione sistematica (quando una disposizione viene interpretata in modo coerente con altre disposizioni), di interpretazione conforme (quando tra possibili significati si deve seguire quello coerente con altre fonti, adesempio di natura sovranazionale o internazionale).
In ogni caso, tuttavia, l’interpretazione del testo deve necessariamente essere coerente con la sua costituzione sostanziale, cioè con l’insieme di culture e valori giuridici, di principi a cui i Costituenti si sono riferiti al momento di scrivere il testo della Costituzione.Come ha detto in modo chiaro un grande teorico del diritto – Peter Häberle (Per una dottrina della costituzione come scienza della cultura, Carocci, Roma 2001- le norme costituzionali riflettono e producono cultura costituzionale. Ne consegue, quindi, che la costituzione formale è legata indissolubilmente alla sua costituzione sostanziale. Inoltre, quest’ultima rappresenta la “memoria storica” che ogni comunità nazionale non può e non deve perdere.
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L’antifascismo, quindi, è una fonte culturale e storica che ha ispirato e impregnato di sé il testo della Costituzione. In questo contesto interpretativo – su cui ritornerò tra poco – la XII e la XIII disposizione finale – che affermano rispettivamente la fine irreversibile delle istituzioni fasciste e monarchiche- sono l’epilogo normativo dell’intero testo costituzionale; non si tratta infatti di disposizioni transitorie, ma finali della Costituzione, che chiudono il cerchio della volontà costituente. Esprimono una decisione irrevocabile circa il futuro dell’organizzazione politica del fascismo e i membri ed eredi della casa sabauda.In altre parole la XII e XII disposizione finale hanno il loro fondamento nel passato, ma producono i loro effetti nel futuro della Repubblica italiana.
Rispetto a questa scelta costituente la legge contiene delle norme che definiscono cosa si deve intendere per “riorganizzazione del partito fascista”. La legge n.645 del 1952 qualifica come di natura fascista le organizzazioni o i movimenti che perseguono. finalità antidemocratiche o… o… o.. propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia e le sue istituzioni e i valori della Resistenza … ovvero svolgendo propaganda razzista o compiendo manifestazioni esteriori di carattere fascista”. Si tratta di distinti comportamenti, ciascuno dei quali è suscettibili di configurare una violazione dell’XII disposizione finale della Costituzione. Tale definizione è stata poi integrata dall’art.7 della legge n.152 del 1975 che ha aggiunto all’ipotesi di “associazione” e di “movimento” anche quella di “un gruppo di persone non inferiore a cinque”. Una precisazione che riprende una osservazione che già aveva fatto Paolo Barile, il quale ha precisato che la Costituzione ha evitato di racchiudere il concetto di “associazione” entro criteri giuridici rigidi e definiti, accogliendone una nozione ampia e generica … del resto nella stessa XII disp. si parla di ricostituzione «sotto qualsiasi forma» del disciolto partito fascista.
Alla luce di questa premessa, appaiono quindi del tutto arbitrarie le posizioni che tendono a qualificare la Costituzione della Repubblica come a fascista. Si tratta di una tesi che ciclicamente riaffiora nel dibattito pubblico, già a partire da alcuni interventi in Assemblea costituente, ove il liberale Lucifero ebbe a sostenere che il fascismo non avrebbe dovuto entrare nel testo costituzionale “né in forma positiva né in forma negativa”, perché l’a-fascismo è l’unica concezione “liberale di uno Stato di uomini liberi” (Assemblea costituente, Seduta di martedì 4 marzo 1947. Questa idea è debitrice dell’impostazione crociana del fascismo come parentesi del divenire storico, e viene ripetutamente distorta per sostenere che nel testo della Costituzione non vi sarebbe “alcun riferimento esplicito all’antifascismo”.Posizioni queste che sono state contrastate da una ordinanza della Corte costituzionale (n. 323 del 1988) secondo cui l’efficacia giuridica della disposizione finale non è transitoria, ma produce i suoi effetti oltre le vicende della lotta di liberazione.
La natura irrimediabilmente antifascista della Costituzione
Secondo la Costituzione repubblicana il fascismo ha rappresentato, non solo un movimento politico e una ideologia, ma anche una forma organica di Stato – lo Stato fascista -, alternativo alle forme liberali, che a quelle sociali e democratiche.L’incompatibilità tra fascismo e Repubblica si ricava formalmente dal legame tra l’ultimo articolo della Costituzione (che vieta la ricostituzione di organizzazioni politiche di tipo fascista) e il primo, secondo cui la Repubblica è ha per fondamenta principi alternativi alla forma di Stato fascista: la sovranità popolare; le libertà, i diritti sociali e di autonomia, il principio democratico e pluralista. Principi che facendo parte della Costituzione sostanziale non possono essere oggetto di revisione costituzionale.
Più nello specifico quali contenuti del testo costituzionale debbono essere considerati come irrinunciabili, non rivedibili?Essi riguardano sia i diritti, sia l’organizzazione dello Stato. Per quanto concerne i diritti si tratta di garantire:
- il pluralismo nelle sue diverse espressioni (istituzionale, culturale, politico, sociale, economico),
- la centralità del lavoro, sia come diritti del singolo, sia come espressione di aggregazioni sociali,
- le molteplici forme di tutela delle minoranze e delle opposizioni politiche,
- il riconoscimento della democrazia quale tratto informatore la vita politica e associativa della comunità nazionale,
- il principio pacifista, in quanto divieto di risolvere le controversie internazionali attraverso il ricorso alla forza militare.
Con riferimento all’organizzazione dei poteri pubblici, costituiscono regole non oggetto di revisione:
- l’equilibrio tra i poteri, secondo il principio dei cecks and balances;
- l’attribuzione alla magistratura dello status di ordine indipendente dall’esecutivo;
- la centralità del Parlamento in quanto unica espressione della sovranità popolare e la conseguente necessità che vi sia un rapporto di fiducia con il Governo;
- il riconoscimento dell’autonomia delle comunità territoriali.
- Il principio costituzionale della “democrazia che si difende”
Molte Costituzioni contengono delle specifiche formule di limitazione dei diritti costituzionali nei confronti di organizzazioni e di singoli, riconducibili alla nozione di “democrazia che si difende”;Queste formule si traducono essenzialmente:
– o nella punizione dell’abuso nell’esercizio dei diritti,
– o nella sanzione dei c.d. “discorsi si odio”
– o nella possibilità di sciogliere associazioni o partiti considerati “antisistema” (in quanto la loro azione politica è ritenuta incompatibile con i principi della convivenza democratica).
A proposito dell’abuso nell’esercizio dei diritti si può ricordare che
l’art. 18 Cost. tedesca afferma che “chiunque, allo scopo di combattere l’ordinamento fondato sui principi di libertà e di democrazia, abusi della libertà di manifestare il proprio pensiero… decade da questi diritti fondamentali”;
l’art. 55 Cost. spagnola, autorizza a stabilire con legge organica le forme e i casi in cui si può procedere alla sospensione di determinati diritti fondamentali nei confronti di persone determinate in occasione di interventi contro il terrorismo o le bande armate;
l’art. 17 dell’Human rights Act del Regno Unito prescrive che nessuna disposizione possa essere interpretata nel senso di prevedere per ogni Stato, gruppo o persona un diritto a svolgere attività rivolte a distruggere diritti e libertà.
Infine, l’art. 10, 2 c. della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali consente di sottoporre l’esercizio della libertà di espressione a determinate formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni costituenti “ misure necessarie in una società democratica, per la sicurezza nazionale, l’integrità territoriale o l’ordine pubblico, la prevenzione dei reati, la protezione della salute e della morale, la protezione della reputazione o dei diritti altrui, o per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario ”.
I c.d. “discorsi d’odio” – invece – riguardano quei contenuti che sono idonei a generare disprezzo, rancore, discriminazione, a incitare alla commissione di atti di violenza, nei confronti di persone individuate per la loro appartenenza ad un gruppo identificato in virtù di specifiche caratteristiche differenziali. Si tratta di incitamenti alla violenza nei confronti di minoranze, determinati gruppi etnici. Infine, alcune disposizioni escludono determinate formazioni politiche dalla vita pubblica e dalla rappresentanza politica. Si tratta di organizzazioni considerate “antisistema”, in quanto la loro attività politica è ritenuta incompatibile con i principi della convivenza democratica.
A questo proposito, la giurisprudenza – internazionale e costituzionale – si è premurata di individuare alcuni criteri per valutare la conformità alla Costituzione di misure restrittive del diritto di associazione politica.
Innanzitutto, ha precisato che l’oggetto delle limitazioni deve riguardare non le finalità o i programmi politici, ma l’attività concreta posta in essere: in altri termini, la perturbazione del carattere democratico dell’ordinamento non deve essere ricostruita in astratto, ma sulla base di comportamenti concreti, che rappresentino un pericolo. In secondo luogo, i limiti alla libertà di organizzazione politica debbono essere conformi a Costituzione, cioè debbono specificare o attuare disposizioni costituzionali. Infine, il procedimento sanzionatorio deve garantire i diritti processuali riconosciuti dalla Costituzione e avvenire innanzi a un organo di natura giurisdizionale.In genere, tale organo è individuato o nel giudice costituzionale (Germania, Portogallo, Turchia, Israele) o in quello ordinario (Francia, Spagna, Italia).
Nella Costituzione italiana il tema del divieto dei partiti c.d. “antisistema” è presente in diverse parti: Un limite all’attività di determinate organizzazioni politiche è contenuto nell’ art. 18, 2 c. Cost. e riguarda le associazioni che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare. Il divieto non riguarda le organizzazioni militari, ma quelle che agiscono per obiettivi politici con la struttura di tipo militare.Un secondo limite si ricava indirettamente dall’art.117 della Costituzione secondo cui la potestà legislativa deve essere esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Tale rinvio ci richiama al rispetto dei vincoli che la Convenzione europea per i diritti dell’uomo pone per escludere i casi di “abuso dei diritti; ma non va neppure trascurato il Trattato sottoscritto dall’Italia a Parigi il 10 febbraio 1947, che impegna il nostro ordinamento “ a prendere misure … per non permettere in territorio italiano la rinascita di organizzazioni simili a quelle fasciste, che abbiano per oggetto di privare il popolo dei suoi diritti democratici”.Un terzo limite, infine, è rappresentato dalla già richiamata XII disposizione finale della Costituzione A quest’ultimo proposito, va ulteriormente specificato che il divieto previsto dalla XII disposizione transitoria non ha ad oggetto l’art. 21 della Cost., ma ha la natura di uno specifico divieto associativo; dar vita a un’associazione -è stato detto dalla dottrina – è sempre un atto materiale, che modifica il mondo dei fatti”. Più precisamente, tale divieto non colpisce la libertà di manifestazione del pensiero, ma la creazione di organizzazioni che agiscono in conflitto con i principi della forma di Stato rappresentativa e democratica.